Il Filu 'E Ferru, La Grappa di Sardegna 0 Comments
Nato in Sardegna, isola di ampia tradizione vinicola, il filu ‘e ferru è “il” distillato d’uva sardo per antonomasia, 40 gradi, trasparente e dal gusto avviluppante e piacevole al naso per la sua fragranza di fiori, frutta e spezie è ottimo per il fine pasto. Conosciuto in alcune regioni anche come abbardente (o acuardenti), “acqua ardente”.
Ha un colore caldo dorato grazie al processo di “barricazione”, di almeno un anno in piccole botti di rovere, che conferisce le note di legno oltre a quelle derivanti da vinacce di uve generalmente Vermentino o Vernaccia e spesso di Cannonau. Il valore sostanziale del distillato è la forte identità del territorio di origine.
Se ne possono assaporare diverse varianti: secca, affinata in barrique, aromatizzata alla liquirizia, aromatizzata al finocchietto selvatico.
E’ interessante sapere che l’acquavite FILU FERRU di Santu Lussurgiu, Il cui progetto grafico è stato premiato con l’etichetta d’argento al 23° Vinitaly Design Int’l Packaging Competition — 2019.
Infatti le 6 etichette delle abbardenti distillate riportano sei diversi soggetti dell’arte dei maestri del ferro Lussurgesi:
- il macinino, per macinare il caffè e il pepe;
- le forbici per tosare la lana per rappresentare il mondo bucolico;
- il battente dell’uscio;
- l’imboccatura per governare il cavallo e guidarlo nella giusta direzione;
- il coltello, l’utensile che quotidianamente il pastore usa per tutto ciò che deve fare;
- il marchio padronale per la marchiatura a fuoco che assicurava il riconoscimento del bestiame contro l’abigeato, in quel mondo agro-pastorale dove gli animali rappresentano il bene primario.
La storia dell’origine del nome del filu ‘e ferru, proviene dai tempi della seconda metà dell’800 quando, con la legge Sella del giugno 1874 fu vietato distillare in casa e allora pastori e contadini, che producevano clandestinamente il filu ‘e ferru, per evitare la confisca, dae sa fortza, (Guardia di Finanza o Carabinieri) nascondevano alambicchi e bottiglie sotto terra nella campagna. Ma per identificare il luogo dove l'avevano nascosto, legavano le bottiglie e gli alambicchi con del fil di ferro lasciando fuori uno o più capi che sporgevano dal terreno.
Una bellissima poesia in romanesco di Carlo Giannelli, estimatore del prodotto sardo, ne descrive meravigliosamente la storia:
Pe' fregà er Dazio e avè pieno er bricco,
che fà er pastore ner chiuso de "sa lolla"?
...Co' le mano...strizza la mammella...
...mentre lo sguardo fissa...l'allambicco!
Quanno che dar vitigno...goccia doppo goccia,
sorte "er core" da l'amato tralcio,
...cor profumo anniscosto da l'odor de cacio...
...distilla tranquillo...più de 'na boccia!
Pe' evità, poi, d'avè li piedi a mollo...
je lega 'n fil de ferro intorno ar collo...
nisconne le bocce ne le fratte der terreno,
...lassanno 'n filo fora...ar più der meno!
Quanno, che poi, se sente sazzio e fiero...
...pe' la cordula magnata in sieme ar pecorino...
..e pe' le costolette de capra e porcellino,
sorte de fora a ripescar quer ferro!
Per fregare il Dazio e avere il bricco pieno,
cosa fa il pastore al riparo nel suo loggiato?
…Con le mani …munge la mammella…
Mentre lo sguardo tiene d’occhio …l’alambicco!
Quando dal vitigno… goccia dopo goccia,
esce “il cuore” dell’amato tralcio,
con il profumo coperto dall’odore del formaggio…
…distilla tranquillo… più di una bottiglia!
Per evitare poi di rimanere senza…
Gli lega un filo di ferro attorno al collo…
Nasconde le bottiglie negli anfratti del terreno,
…lasciando un filo fuori… più o meno lungo!
Quando poi si sente sazio e orgoglioso…
Per aver mangiato la cordula con il pecorino,
per le costolette di capra e porcellino,
esce fuori per ripescare quel ferro!
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di Daniela Toti
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