Pinna Nobilis O Gnacchera 0 Comments
La Pinna Nobilis, comunemente nota come gnacchera o cozza penna, è uno dei più grandi molluschi bivalvi che vive in fondali melmosi, con la punta della conchiglia ben piantata nella sabbia tramite una ciocca di lunghi fili somiglianti alla seta che l’animale usa per ancorarsi al fondale.
Diffusa nel Mar Mediterraneo, vive preferibilmente in mezzo alle praterie di Posidonia, da pochi metri fino a 40 di profondità. Può superare un metro d’altezza. È un mollusco filtratore, cioè che si nutre mediante apparati filtranti. È quindi un utile indicatore dell’inquinamento marino. La Pinna ha un granchietto, il Pontonia pinnophylax detto guardiapinna, che l’aiuta a catturare i pesciolini. Infatti quando i piccoli pesci entrano nelle sue valve, che lei immobile tiene spalancate, il granchietto che le sta accanto le dà un segnale e la Pinna chiude le valve catturando il pranzo del quale ne dividerà una parte con il suo guardiapinna. E’ una delle simbiosi marine meno conosciute del mondo sommerso (più nota è infatti, grazie a Nemo, la relazione simbiotica tra pesce pagliaccio e anemone), ma il sodalizio tra la Pinna e il piccolo crostaceo ci è giunta dall’antichità negli scritti sia di Aristotele che di Plinio.
Oggi la raccolta è vietata ma nel passato, quando la Pinna Nobilis viveva numerosa nei nostri mari, veniva staccata dal fondo per poterne usare il ciuffo di filamenti e lavorarlo trasformandolo in bisso, tessuto dorato oggetto di innumerevoli miti e leggende (clicca e scopri cos'è il bisso).
Come ci giunge da Plinio, già dal primo secolo dopo Cristo per la pesca della Pinna si usava un attrezzo chiamato pernilegum costituito di due ganasce di ferro ricurvo che, come la tenaglia del dentista, catturava la conchiglia e la estraevano dal fondale con una rotazione di 90°. Più grossolanamente si usava una corda a nodo scorsoio che, come un cappio, afferrava stretta la base della Pinna e quindi si tirava con la barca estraendola dal fondo…come fosse un dente. Si aprivano quindi le valve, uccidendo così l’animale, e si tagliava il ciuffo dal piede per utilizzare i filamenti in tutta la loro lunghezza. Verso la fine del XIX secolo l’uso tessile del bisso fu abbandonato, ma si mantenne il suo uso terapeutico, immerso nell’olio caldo, per curare il mal d’orecchi e talora anche la sordità, mentre i pescatori lo usavano come emostatico se si ferivano durante la pesca. Molto limitato l’uso commestibile ma, trattandosi di un mollusco filtratore, è estremamente rischioso mangiarlo in quanto accumula agenti inquinanti e patogeni. Anche la gnacchera, come l’ostrica, contiene spesso una perla grigia o marroncina, a volte splendente e lucida ma di nessun valore commerciale.
Purtroppo c’è un grande allarme nel Mediterraneo che rischia di perdere un suo prezioso simbolo, la Pinna Nobilis, decimato da una nuova specie di parassita individuato come il killer dei grandi bivalvi, l’Haplosporidium Pinnae, un microrganismo che attacca la ghiandola digestiva interferendo sui processi vitali perché indebolisce la bivalva fino a provocarne la morte. I ricercatori marini italiani sono al lavoro per evitare il processo di estinzione che potrebbe essere molto rapido.
"Il rischio non è tanto l'estinzione a livello locale, ma dell'intera specie", dice Fernando Rubino, ricercatore del CNR IRSA di Taranto. Infatti lo sforzo sta appunto a far sopravvivere la specie perché se la specie sopravvive, le larve dei superstiti potrebbero essere disseminate in tutto il bacino, ricolonizzando le aree dove la specie è scomparsa. Alla domanda su cosa accadrebbe ai fondali mediterranei senza le grandi nacchere, Rubino ha risposto che gli effetti negativi che potrebbero derivare dalla sua assenza, in quanto "potenziatore di biodiversità", perché rappresentado l’unico substrado “duro” in un fondale sabbioso, non permetterebbe più agli organismi che normalmente vivono sulla roccia di stanziarsi sulle sue valve. Verrebbe inoltre mancare il loro indicatore di inquinamento marino. Tuttavia è in grande contestazione anche l’uso con frequenti passaggi giornalieri dei traghetti sempre più veloci e potenti: i violenti e innaturali movimenti dell’acqua potrebbero rendere malferma la congenita verticalità della Pinna Nobilis.
Sciaguratamente oggi nel nostro meraviglioso mare di Golfo Aranci e Tavolara gli allarmati subacquei dei centri sub affermano che non si vede più una Pinna Nobilis viva, ma solo valve di conchiglie morte adagiate sul fondale… l’unica speranza rimane il riuscire a sconfiggere il microrganismo killer ricolonizzando l’area. La sopravvivenza della Pinna Nobilis è in mano alla buona volontà dei ricercatori, ai quali va tutta la nostra solidarietà.
“È però certissimo, che dal ventre dell’animale nasca legata con nervosa sostanza una quasi ciocca di capelli delicatissimi al tatto. Questa si chiama da alcuni 'Lana' e da altri 'Bisso marino', a distinzione dal terrestre fatto di lino, o bambagia, secondo altri. È di colore castagno scuro, e nelle maggiori pinne si stende alla lunghezza d’un palmo al più". (Buonanni, 1681)
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di Daniela Toti
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