S'Intrumpa: La Lotta Sarda Dei Gherradores 0 Comments
La lotta sarda o s’Istrumpa è una forma di combattimento molto antica, forse il più antico degli sport, tramandata per millenni, di generazione in generazione, come testimoniato dai bronzi dei lottatori di Uta risalenti al periodo nuragico.
Tra le tradizioni ancestrali della Sardegna la lotta s’Istrumpa rimane costante perché costante è la necessità dell’uomo di misurarsi con le forme competitive che dimostrano forza, coraggio, lealtà ed… equilibrio. Infatti il nome proviene dal sardo istrumpare che significa buttare bruscamente a terra ma anche far perdere l’equilibrio all'avversario, ricorrendo a qualsiasi abilità di gamba, tensione, spinta diretta o di fianco, sollevamento da terra, sgambetti e quant’altro. Ma senza barare mai. Era questo il valore formativo per i bambini e gli adolescenti che nello sport come nella vita l'abilità, la trassa, può avere la meglio sulla forza fisica. S’Istrumpa insegna il rispetto severo delle regole e chi bara è disprezzato dagli altri atleti e la sua vincita non viene riconosciuta, mentre vince chi è stato onesto e ha dimostrato trassa, abilità. Al campione verrà assegnato il premio del rispetto della collettività.
S’Istrumpa viene paragonata alla lotta greco-romana e si praticava durante le feste rurali, cerimonie religiose, fiere di bestiame, o durante i rituali agricoli e pastorali come la mietitura, la trebbiatura e la tosatura del bestiame. I gherradores, o Istrumpadores, così si chiamavano i gareggianti ne s’Istrumpa, si stringevano nelle terribili prese cercando di sbilanciare l’avversario facendolo cadere a terra.
Solo i pastori o i loro figli nelle cui vene scorre il sangue dell'istrumpadore, possono praticare questo sport. Nel 1997 S’Istrumpa ottenne il riconoscimento dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) diventando un vero sport e, da allora, è presente in tornei regionali, nazionali e internazionali.
“All’istrumpa e a cavallo non lo fricava nessuno. Si batteva a torso nudo e cavalcava a pelo, attaccato all’animale come un irichine (zecca), una seconda pelle.” (S. NIFFOI, La vedova scalza,)
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Di Daniela Toti
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