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Il Riso Sardo

Cerco su Google “Riso sardo” e mi rimanda per due volte al “riso sardonico”. “Ehi Google! Non prendermi in giro, so benissimo che in Sardegna esiste un’ottima qualità di riso. Ne ho gustato le meravigliose proprietà organolettiche, quindi… al lavoro!”. E allora, vergognatosi, mi risponde con ampiezza. 

Nonostante in Sardegna la risicoltura si pratichi solo da una settantina d’anni (ormai sono abituata a parlare quasi esclusivamente di presenze millenarie in Sardegna …) è oggi la quinta regione produttrice di riso in Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e, quinta, Sardegna).  Anche se non vasta in estensione, sono circa 3.500 gli ettari coltivati principalmente nelle province di Oristano e Cagliari, compete in qualità con il miglior riso nazionale. Buona parte della produzione è destinata al riso da seme, utilizzato nel nord Italia da colture più estese e rinomate. Circa il 95% delle superfici lavorate a riso appartiene all'Oristanese, 271.000 quintali di riso l'anno in una estensione di circa 4.800 ettari di superficie e una occupazione attorno ai 1.500 addetti.

La storia del riso in Sardegna inizia con gli Spagnoli, che lo avevano conosciuto durante la dominazione araba. Secondo gli storici, in Sardegna si consumava già il riso nel Seicento, ma era un prodotto per i banchetti dei nobili, non per la gente comune, che si nutriva con ciò che coltivava o allevava.

La coltivazione nell’isola risale ai primi anni Trenta del Novecento con la bonifica di terreni paludosi e salmastri del Campidano di Oristano. Nel 1951 a Cesello Putzu, un giovane sveglio, pieno di voglia di fare e con le idee molto chiare, venne consigliato di dedicarsi alla riseria. Lui veniva dall’attività dei pastifici. Aprì a Cagliari un altro pastificio e aiutò a sostenere lo sviluppo della risicoltura favorendo il raccolto con la trebbiatura e sgranatura a macchina con proprie trebbiatrici. Rese possibile il completamento del ciclo del riso con la costruzione di essiccatoi per il risone verde. Agli inizi degli anni Novanta i giovani Putzu della terza generazione conquistarono la leadership del mercato sardo. 

Ma un pensiero di riconoscenza va anche a quel gruppo di contadini venuti dal Bresciano negli anni cinquanta che hanno iniziato la coltivazione di quel riso che oggi molti invidiano all’agricoltura sarda. 

La risicoltura inizia a marzo, quando si ara la terra, spianandola a livello dell’orizzonte. Si quadrano le nuove ‘camere d’acqua’, e gli argini diventeranno nuovi canali e scoli. La terra viene tenuta viva per renderla arrendevole al lavoro dell’uomo e delle sue macchine, preparandola a raccogliere il seme e l’acqua delle piogge e dei canali apportatori.

In aprile il lavoro lo fa il sole e la piantina crescendo non respira dalle radici, come le altre piante, ma immagazzina l’aria dal proprio stelo e cresce sommersa, protetta dall’acqua dal freddo.

A maggio inizia il lento processo di evaporazione e il terreno si manifesta sotto quell’acqua dove finora i semi vivevano e la temperatura più calda fa schiudere i semi che mettono radici. La risaia continua ad essere allagata dai canali.

A giugno spuntano timidi gli steli verdi dal pelo dell’acqua che presto ricoprono l’intera risaia con un verde brillante delineato dalle camere quadrate.

A luglio le piantine si allungano, lo stelo cresce, si forma il chicco e i chicchi formano le spighe che, nella luce, sono mosse dal vento come onde di mare verde.

In agosto con il sole caldo il riso matura il seme futuro di altre piante.

A fine settembre e inizio ottobre il riso è pronto per la raccolta. Si inizia con la trebbiatura e la pilatura del prodotto. Il primo riso viene chiamato risone, perché è rivestito dalla paglia degli invogli. Nella pila, la macchina della sgrossatura, viene pulito dalla paglia e passa da risone a riso integrale. Solo quando verrà “brillato”, cioè pulito, sbramato, sbiancato, diventerà il bianco cuore del chicco di riso che siamo abituati a comperare per la nostra cucina.

Il ciclo semestrale della risicoltura del riso finisce e passa la mano alla sua commercializzazione, mentre il terreno riposerà fino al prossimo marzo.

 

...Sciacquò scrupolosamente il riso in un piccolo scolapasta argentato, lo scolò, lo versò in una pentola, lo ricoprì con una quantità di acqua salata pari ad una volta e mezzo il suo volume, mise il coperchio e lasciò cuocere. ... rovesciò il riso dalla minuscola ciotola dove prima lo aveva pressato così che formasse una cupoletta paffuta, coronata da una foglia di menta. (Muriel Barbery)

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di Daniela Toti

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