Teodoro Levi Archeologo 0 Comments
Una personalità, quella di Teodoro Levi, detto Doro, che molto amò la Sardegna e molto contribuì alle ricerche archeologiche di quella che percepì essere una delle civiltà mediterranee più importanti e forse più sconosciute: La Civiltà Nuragica.
Quando mi sono immersa nella sua storia, non ho potuto non includerla nel blog del Gabbiano Azzurro Hotel & Suites, dove partecipo la mia passione per l’affascinante mondo Nuragico. La Sardegna, nei soli tre anni della sua permanenza nell’Isola, deve tanto a Doro Levi ed è giusto ricordarlo qui con gratitudine.
Doro Levi arrivava da Trieste, dove era nato nel 1898 da una famiglia ebrea della borghesia mercantile. Una Trieste abitata da una cospicua comunità ebraica, dove traffici e affari convivevano con la letteratura di Umberto Saba e di Italo Svevo, di James Joyce e di Ezdra Pound. Doro Levi fu irredentista e patriota e partecipò volontario a diciannove anni alla prima guerra mondiale, scelta che però non lo salvò dalle leggi razziali vent’anni dopo. Intraprese gli studi inizialmente con indirizzo storico antichista per il mondo greco, ma successivamente si appassionò di archeologia formandosi, come archeologo, alla Scuola Italiana di Atene di cui fu il primo allievo.
Dopo essere stato ispettore e poi direttore presso la soprintendenza alle Antichità dell'Etruria dal 1926 al 1935, giunse all'Università di Cagliari dove fu professore dal 1935 al 1938 di Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana e, contemporaneamente, fu soprintendente alle Opere d'Arte e di Antichità della Sardegna. Per capire meglio quale fu il suo apporto nella ripristino dell’archeologia sarda possiamo ricordare i luoghi della Sardegna antica dove Doro Levi si adoperò attivamente: la necropoli neolitica di Anghelu Ruju ad Alghero, scoperta nel 1904 da Antonio Taramelli; i bronzi nuragici di Bolotona; Serra Orrios a Dorgali; i complessi di Cabu Abbas ad Olbia e di Monte a Telti; i pozzi sacri di Su Trabuccone, Pozzo Sacro Sa Testa a Olbia, e il Pozzo Sacro Milis A Golfo Aranci; le necropoli punico-romane ad Olbia; l’ipogeo di San Salvatore di Cabras; il ponte romano presso Oristano; l’Anfiteatro e il tempio di Via Malta a Cagliari.
Fu nel 1937 che Doro Levi si occupò degli scavi di Funtana Noa a Olbia. Durante gli scavi vennero scoperte 47 sepolture del tipo a pozzo con camera scavata nella roccia, simili a quelle della necropoli di Tuvixeddu a Cagliari. Nella tomba numero 24, datata tra il IV e il III secolo a.C. era conservata una donna, probabilmente di alto lignaggio, con un ricco corredo funebre di cui facevano parte alcune brocche, una moneta punica e uno specchio molto pregiato in bronzo, con il manico finemente decorato, posato sopra il petto della morta, forse proveniente dalla Magna Grecia. Ma l’oggetto più bello era la collana in pasta vitrea, composta da una testina femminile con riccioli, 4 testine maschili molto colorate con barba e orecchini, una testa di agnello e un piccolo gallo che la defunta portava al collo. Nella collana oltre ai ciondoli erano presenti vari cilindretti e sferette decorati con spirali, onde e grossi “occhi” colorati. La collana aveva una funzione propiziatrice per difenderla dagli spiriti maligni.
Quando giunse in Sardegna Hermann Göring, il vice di Hitler, e avendo saputo del ritrovamento voleva aggiungere la preziosa collana punica alla sua già ricca collezione d’arte. L’archeologo Doro Levi, grazie alla sua posizione di Soprintendente, si oppose con decisione riuscendo a salvare il pregiato reperto, che grazie a lui oggi si può ammirare al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. La collana è famosa, conosciuta in tutto il mondo dopo la mostra “I Fenici” di Palazzo Grassi a Venezia del 1988, e avrà sempre il suo posto nelle pubblicazioni sulla civiltà punica della Sardegna.
Quando nel 1938, a causa delle leggi razziali, iniziò il censimento dei professori ebrei, Doro Levi fu informato dal rettore di essere stato sospeso dalle sue funzioni. Levi chiese di inoltrare al Ministero copia autenticata del decreto di conferimento della "Medaglia al Merito per essere stato un volontario irredentista nella guerra italo-austriaca", per ottenere un reintegro del suo ruolo ma la richiesta non fu accolta e l’archeologo si vide costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti per sfuggire alla deportazione. Fu accolto dall'Institute for Advanced Studies di Princeton, nel New Jersey, dove insegnò e collaborò con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per mappare i monumenti italiani che l'aviazione avrebbe dovuto risparmiare durante i bombardamenti.
Ma la persecuzione fascista non gli aveva tolto verve e battute, intelligenza e capacità di relazione, amore verso la didattica, i giovani, l’archeologia, e la Sardegna e nel 1945 tornò dagli Stati Uniti e fu reintegrato nella cattedra di Cagliari. Non riprese però servizio perché erano sopraggiunti altri impegni a Roma. Recuperò le biblioteche dell'Istituto Archeologico Germanico e la Hertziana di Roma, che erano state nascoste a Salisburgo, contribuendo alla fondazione dell'Istituto Centrale del Restauro. Fu nominato direttore della Scuola Italiana di Atene dal 1947, ne riaprì i corsi dal 1950 al 1967, quando riprese anche lo scavo di Festòs a Creta. Nel 1960 iniziò dello scavo di Iasos, in Caria, Turchia. Nel dicembre del 1975 fu inaugurata la nuova sede della Scuola Italiana di Atene, della quale rimase direttore fino agli inizi del 1977, a quasi 80 anni. Si spense a Roma il 3 luglio 1991 a 93 anni, tutti spesi nella continua ricerca perché “tutto nasce in oriente, si consolida in occidente, e ritorna in oriente”.
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di Daniela Toti
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