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Il Dono Del Pane al 31 Dicembre

A Medas Annos ci si augura il 31 dicembre in Sardegna ed è l’augurio del Gabbiano Azzurro Hotel & Suites a tutti voi affezionati lettori del Blog: “A Medas Annos, “Auguri di Molti Anni a Venire”.

Il Dono Del Pane è una tradizione antica che ancora resiste. A Benetutti lo chiamano "Su candelarzu", in altri paesi "sa candelarìa" o "candelarju". È un’usanza in Sardegna che si ripete il 31 di dicembre. Fa parte dei riti del solstizio d’inverno e oggigiorno sopravvive in pochissimi paesi.  Contrariamente a l'assonanza con le candele, il nome di questa usanza deriva forse dalle “Kalendae romane”.

Sin dal primo mattino, i bambini sotto i dieci anni bussano alle porte delle case di tutto il paese con una federa di cuscino che fa da sacco, sulle spalle. Quel sacco durante la mattinata si riempirà di dolci, frutta secca, caramelle, cioccolatini, e perché no, anche di qualche soldino.  In ogni casa si attende il suono del campanello e le voci dei bambini che dicono: «A su candelarzu». Ci sono delle apposite filastrocche da recitare durante la questua, e una volta avuta l’offerta pronunciano la frase “A Medas Annos, un augurio di prosperità per gli anni a venire. Ma se per caso la richiesta viene negata, i bambini rispondono con il "frastimu", un malaugurio: A nolla dazes sa candelarzu? Cras a manzànu in terra nighedda! Ah, non ci date il candelarzu? Domattina in terra nera, (cioè al camposanto).

Esiste in Sardegna l’usanza del frastimare, il prodotto di una cultura antica con l'intenzione di dare alle parole il potere della maledizione: "lampu ti calidi”: che ti colpisca il lampo - "Is manus cancaradas": che ti si blocchino le mani - "chi Deus tindi pighiri”: che Dio ti porti via - "Stizza t’abruscidi": che ti bruci la giustizia. Veramente terribili, vero? È sempre meglio tenerli amici e non contraddirli mai!

L’usanza è diffusa anche nei paesi dell'interno come Orgosolo, dove si chiama "sa candelarìa",  con le stesse modalità. Nel passato tra i doni c’erano, "sas rughittas", piccoli pani a forma di croce e "s'accheddu", piccoli bastoncini fatti sempre con il pane con la punta a spirale e il pane de "su capidu e s'annu", di forma ovale con "sas ficcas" per buon augurio, dodici fori e altrettanti anellini, raffigurando i mesi dell'anno in arrivo. Oggi rimangono solo "sas rughittas", preparate dalle persone più anziane che conoscono la tradizione.

Anche ad Oristano l’evento si chiama sa candelarìa" e il pane offerto si chiama cocòne, preparato con farina di grano duro impastata con lievito, acqua tiepida, sale e strutto. L’impasto viene diviso in pezzi della grandezza di un'arancia, che vengono lasciati a lievitare; poi si spianano con il mattarello per ottenere “sa tundìna“,di circa 35 cm di diametro, che una volta cotta in forno si divide in quattro e ogni fetta è il cocòne, da dare ai bambini che verranno a chiederlo nella mattinata. 

La festa però non è finita, infatti alla sera ci sono le “serenatae" dove gruppi di giovani cantano una filastrocca beneaugurante nelle case di chi si è maritato nell’anno che si chiude, a cui segue un cumbidu, un invito, con vino e dolci, festeggiando e cantando fino all'alba. Le ragazze da marito invece nell’ultima notte dell’anno, scrivendo il loro nome e quello dell’innamorato su delle foglie unite ad Y e mettendole poi tra le braci del camino, attendevano che le foglie si intrecciassero per il buon auspicio del loro amore.

 

“L’alba del 31 dicembre dell’anno che scompariva, veniva salutata con gioia dei ragazzi del paese. Essa portava il dì de su candelarzu … Le massaie si facevano premurose alla porta per accontentare i vispi ragazzetti, con abbondanti manciate di mandorle, noci, nociuole, castagne, uva passa” (Pietro Meloni Satta)

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di Daniela Toti

Photo di Angelo Meridda

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