L'Eroe Sardo Ampsicora 0 Comments
Passata Santa Caterina di Pittinurri, a 2 ore e 20 minuti di macchina e 177 km dal Gabbiano Azzurro Hotel & Suites, verso Oristano, appena dopo la borgata di S’Archittu, appare sulla destra una grande stele in pietra, con un testo in sardo:
A Ampsicora e Hosto / a sos tremiza patriottas sardos / chi / pro s’indipendenzia ‘e sa Sardinnia / in ojos sos lugores de su mare / po no esser iscraos de Roma / in custas baddes de dolore / hant derremadu su samben issoro / Campu ‘e Corra 215 a.C. – 1998
“Ad Ampsicora e Josto, ai tremila patrioti sardi che, per l'indipendenza della Sardegna, negli occhi il riflesso del mare, per non essere schiavi di Roma, in queste valli di dolore hanno versato il loro sangue. Campu 'e Corra 215 a. C. – 1998”
Chi era, storicamente, Ampsicora? Tito Livio lo chiama “Il primo dei Principi dei Sardi”. Nel 215 a. C., una ventina d’anni dopo la presa di possesso della Sardegna da parte dei Romani, Ampsicora guida la rivolta sarda. Ampsicora si recò personalmente a chiedere il supporto dei Principi sardi dell’interno, (che Tito Livio chiama spregiativamente Sardi pelliti, vestiti di pelli) cercando, pare inutilmente, di coinvolgerli nella rivolta. Quello che sappiamo di Ampsicora lo si deve allo storico romano, Tito Livio, che scrisse la storia non solo due secoli dopo i fatti ma dalla parte dei romani vincitori, narrando il Bellum Sardo tra Ampsicora di Cornus e Annone di Tharros, contro i romani sotto il comando del console Tito Manlio Torquato. Il comando per la difesa della città di Cornus venne affidato al figlio Iosto. La disfatta dei rivoltosi fu totale: Iosto morì in battaglia, Annone e Asdrubale vennero fatti prigionieri e Ampsicora, dopo aver riportato i superstiti salvi a Cornus, si suicidò, non reggendo il dolore per la morte del figlio e per la sconfitta.
Ma lo stesso Tito Livio scrisse che la Sardegna non fu mai domata perché gran parte dell’Isola non cadde nelle mani dei conquistatori, ed è questo merito che si attribuisce ad Amsicora, sardo autoctono, erede dell’età nuragica, che non affrontò semplicemente un clan rivale, ma i romani, la superpotenza di quel tempo storico. La rivolta, la morte del figlio combattente, il nobile suicidio davanti alla tragedia: questi gli elementi di una visione romantica del sentimento indipendentista dei sardi che ha attraversato la storia dell’isola nel corso delle sue numerose sovranità.
E poi c’è "Sandahlia", il primo di una triologia, un libro dove l’autore Stefano Piroddi ci racconta di Ampsicora e ci invita a guardare al Passato nuragico della Sardegna con occhi differenti, svelandoci quanto i nuragici avessero familiarità con il cosmo, al quale si riferivano come “Assoluto Sognante”, una sensibilità che potremmo chiamare religione che era il fondamento dei loro valori.
E Sandahlia ci parla di Ampsicora, della sua maturazione come Uomo, Guerriero e Condottiero, in uno sfondo dove la sacralità degli eroi è equivalente a quella delle eroine e vivono “in un Canto di Amore e di Morte, danzando il ritmo della melodia… che guida i nostri passi e a cui nessuno potrà mai ribellarsi”.
E Ampsicora grida: “I guerrieri di Sandahlia preferiscono morire da eroi sul campo di battaglia , piuttosto che accettare una sconfitta e vivere da schiavi il resto dei loro giorni…” .
E Tito Manlio Torquato dice a Ezio Glauco: “Però fai ben attenzione di una cosa, Tribuno. Non chiamarli barbari e non trattarli mai come tali. È vero, c’è qualcosa in questa terra e nei suoi abitanti che va oltre la nostra normale comprensione, ma proprio per questo sarebbe un grave errore sottovalutarli”.
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di Daniela Toti
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