Nessun Nuraghe È Stato Mai Una Fortezza? 0 Comments

Nessun Nuraghe È Stato Mai Una Fortezza?

Ogni volta che scrivo sui nuraghi, sempre affascinata dall’argomento, si presenta sempre l’incognita: qual era la vera destinazione di questi monumenti megalitici? Erano abitazioni, regge, presidi bellici oppure ancora monumenti sacri adibiti al culto?

Massimo Pittau (Nuoro 1921 - Sassari 2019), studioso della lingua sarda, della protosarda e della lingua etrusca, che pubblicò numerosi studi sulla civiltà nuragica e sulla Sardegna storica, ha sempre sostenuto che «Nessun nuraghe è stato mai una fortezza», ma che avesse invece una la funzione esclusivamente di culto. È stato in aperto contrasto con alcuni archeologi, che chiamava “militaristi”, perché sostenevano che i 7 mila nuraghi ritrovati nell'isola (e quanti ancora da scoprire non si sa) avevano la funzione di fortezza difensiva

La stessa teoria di Pittau la condivideva già a metà ottocento il marchese Alberto Ferrero della Marmora, nel suo libro Voyage en Sardaigne, una pietra miliare dell'archeologia sarda. Riteneva difficile credere ad un uso militare dei nuraghi durante un assalto considerando che: sono bui, senza aperture atte a far uscire il fumo, senza nessun reperto di resti d’uso militare. Inoltre, gli assediati non avrebbero potuto resistere a lungo al fumo e all'arsura che poteva provenire dal villaggio circostante di certo incendiato durante l’assalto. Valutava che sarebbe stato un comportamento “incomprensibile” e “irrazionale” usarli come roccaforti militari. E inoltre durante l’assedio, come avrebbero potuto gli uomini che stavano combattendo difendere vecchi, donne e bambini e il bestiame fuori dalle fortezze, in balia degli assalitori? 

L’opzione di un uso religioso di Pittau, sarebbe suffragata da reperti di destinazione religiosa ritrovati nei nuraghi. Sono state trovate statuine, oggetti votivi, quali olle a globo, ciotole motivi decorativi, brocche piriformi e decorazioni geometriche e, quasi intatti, gli altari sui quali venivano sacrificati gli animali agli dèi. Sono state rinvenute anche moltissime spade, ma votive, fissate con la punta in alto alla sommità di templi e santuari, per indicare  il luogo di culto, come avevamo scritto nel Le spade nella roccia.

Ercole Contu, archeologo (1924-2018), escludeva nella società nuragica la presenza di schiavitù o di una aristocrazia, per la funzione sociale collettiva che i megaliti sembrano avere.  Di conseguenza Pittau sosteneva che il popolo che abitava nelle umili capanne, si sarebbe davvero prestato a costruire con immani fatiche e impiegando decenni di lavoro se non fossero stati monumenti destinati ad uso religioso ma bensì alla magione di un capo? Erigere un nuraghe, grande o piccolo che fosse stato, poteva essere fatto soltanto in onore e per devozione alle divinità da loro venerate. Così era stato fatto da tutti gli uomini in tutti i tempi.

L’Archeoastronomia invece opterebbe che fossero adibiti ad uso di culti astrali e solari. Gli studiosi rilevano infatti che un certo numero di nuraghi presi in esame sono orientati verso stelle molto luminose, come Sirio (Cane Maggiore) e Rigel (Orione). Inoltre altari ritrovati nelle vicinanze dei megaliti sembrerebbero posizionati dove sorge il Sole al solstizio estivo. Ed infine, sicuramente non casuale, un importante elemento sull’orientamento astronomico dei nuraghi accomuna gli studi su monumenti megalitici della Gran Bretagna e della Francia per i quali era stata usata un'unità di misura (la Yarda megalitica) pari a 0,830-0,829 metri, e gli studi sulle costruzioni nuragiche rivelarono che fu utilizzata una misura compresa tra 0,8309 e 0,8321 metri. 

 

Quando saremo in grado si saperne di più? Forse seguendo il saggio consiglio del professor M. Pallottino: Basterebbe adottare un processo di analogia storica...quel criterio elementare - troppo spesso trascurato - di giudicare gli avvenimenti di un passato oscuro e nebuloso con la stessa concretezza e con la stessa logica con cui si giudicano fatti di epoche e di civiltà storicamente ben conosciute...".

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di Daniela Toti

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