Il Porcetto Sardo 0 Comments

Tra i piatti simbolo della Sardegna, il porcetto sardo occupa un posto d’onore, conosciuto anche come su porcheddu, (pare che chiamarlo “porceddu” sia una definizione turistica che stride alle orecchie degli isolani). Questa specialità è un’esperienza gastronomica che unisce sapori autentici e tradizioni antiche, raccontando una storia legata all’identità dell’isola. Preparato con cura e dedizione, il porcetto non è solo un piatto, ma un rituale che affonda le sue radici nella cultura pastorale della Sardegna.
È un maialino da latte (di circa 6-8 kg) arrostito lentamente allo spiedo, insaporito con pochi ma essenziali ingredienti come il Mirto e il rosmarino, piante aromatiche tipiche della macchia mediterranea, che vengono usate durante la cottura per insaporire la carne, mentre i rametti di mirto servono anche come decorazione al momento del servizio. Inoltre, il liquore di mirto è il perfetto digestivo per chiudere un pasto a base di porcetto.
La cottura lenta, che può durare dalle 4 alle 5 ore, è il segreto per ottenere una carne morbida e succulenta, con una crosta dorata e croccante. Tradizionalmente, il maialino viene cotto su un fuoco di legna di lentisco o quercia, che conferisce un aroma unico. In Sardegna, il porcetto è spesso il protagonista delle celebrazioni, dalle feste familiari ai matrimoni, fino alle sagre e alle ricorrenze religiose. Prepararlo non è solo una questione culinaria, ma un momento di condivisione, in cui la famiglia e gli amici si riuniscono attorno al fuoco, raccontando storie e tramandando tradizioni.
Nell’Isola ricca di miti e leggende, il porcetto non fa eccezione. Ecco alcune delle storie più affascinanti che si intrecciano con questa delizia gastronomica. Secondo alcune fonti, nella civiltà nuragica il maialino era considerato un animale sacro, simbolo di prosperità e fertilità. Si ritiene che venisse offerto in sacrificio al dio Sardus Pater durante i riti propiziatori. Alcune leggende narrano che I Giganti di Mont’e Prama, mitiche figure scolpite nella pietra, consumassero i porcellini per celebrare le vittorie. Nell’antichità, offrire un porcetto arrostito a un ospite era il massimo segno di rispetto e accoglienza. Una leggenda narra che un pastore salvò la vita a un viaggiatore affamato donandogli l’unico maialino che possedeva; da allora, il porcetto è anche simbolo di generosità.
Nonostante la sua preparazione tradizionale, il porcetto è stato reinterpretato anche in chiave moderna. Alcuni chef isolani propongono varianti innovative, come l’aggiunta di spezie insolite o accompagnamenti gourmet, pur mantenendo intatto il legame con la tradizione. Durante il vostro soggiorno al Gabbiano Azzurro Hotel & Suites, potrai chiedere di assaggiarlo cucinato con perizia dall’Executive Chef Daniele Sechi: disossato marinato e cotto a bassa temperatura per 24 ore e poi messo in pressa per altre 24, quindi ripassato a brace viva… vi viene l’acquolina? Si può assaporare il porcetto anche negli agriturismi tipici della Gallura, dove la preparazione segue ancora i metodi tradizionali. Ogni boccone è un viaggio nel cuore della Sardegna, tra profumi di mirto e legno ardente.
Nelle opere de L'autrice sarda Premio Nobel Grazia Deledda, troviamo vivide descrizioni di feste campestri e pranzi rituali, dove il porcetto, anche se non nominato direttamente, era tipico di queste celebrazioni pastorali. Nel suo racconto "Il dono di Natale", Grazia Deledda dipinge un quadro intimo e commovente della Sardegna rurale, dove le festività natalizie erano celebrate con piatti ricchi di simbolismo e tradizione: La madre stacca le cosce a due porchetti. Tre le infila in lunghi spiedi e dice a Felle di portare la quarta ai vicini perché anche loro possano godersi la festa. Qui la condivisione del Natale è presente in tutta la sua bellezza…
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di Daniela Toti
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