Le Seadas 0 Comments

Lo scrivo spesso su questo blog. La Sardegna è giustamente notissima per le sue spiagge, per il suo mare cristallino dalle innumerevoli e stupende tonalità di blu fino ad arrivare al blu smeraldo che ha dato il nome ad una sua famosa costa. Ed è infine nota per quel bouquet di fragranze che arrivano da erbe e arbusti profumati, come i ginepri marini, il rosmarino, il mirto, l’elicriso…
Ma la Sardegna non è solo questo: la sua cucina ha saputo conquistare negli anni lo scenario della cucina mondiale, oggi iscritta con 198 alimenti sardi alla lista dei Prodotti Agroalimentari Tipici (PAT), con prodotti come: Abbamele, Bottarga, Carne dei bovini della Razza Sardo-Modicana, Sa Cordula, Su Filindeu, eccellenza dalla Pasta della Sardegna, Il Filu 'E Ferru, Sapa de figu morisca, sciroppo per i dolci ottenuto cuocendo polpa e succo del Figu Morisca, Sa Pompìa, Riso Sardo, Zafferano, e altri ancora, tra i quali la seada, della quale voglio scrivere oggi, il dessert sardo per eccellenza.
È un dolce della cucina “povera” preparato con ingredienti semplici. Un impasto di semola che si modella a forma di tasca, farcita con formaggio fresco, fuso a fuoco molto basso, che una volta chiusa si frigge e poi si avvolge nel miele. Le origini del suo nome sono un po’ controverse: seada, sebada, seatta, sevada, come viene chiamata nelle diverse zone dell’isola. Potrebbe derivare dallo spagnolo cebar, “cibare, alimentare”, visto il lungo dominio della spagna in Sardegna, ma potrebbe anche derivare dal termine sardo sebu/seu, grasso animale, per l’uso dello strutto nella preparazione. Ma da seu deriva anche il verbo asseare, irrancidire, il cui aggettivo femminile è asseadas, e quindi inacidita, forse per l’inacidimento del formaggio fresco, fondamentale per la ricetta.
In origine però la seada era una pietanza salata, che le donne preparavano quando i pastori rientravano dalla transumanza, per Natale o Pasqua. Erano grandi quanto il piatto e spesso era un piatto unico, saporito e nutriente. Poi nel tempo si aggiunse il passaggio sul miele e le dimensioni vennero ridotte, diventando così un dolce.
Gli ingredienti per preparare un’ottima seada sono due: la pasta e il ripieno di formaggio. La pasta, in sardo violada o violata, si prepara con la semola di grano, lavorata lentamente, schiacciata, tesa e ripiegata fino ad ottenere un composto liscio ed elastico. Il formaggio (pecorino sardo non salato), deve essere freschissimo e acidognolo. Per farlo inacidire lo fasciano con un panno bagnato e lo lasciano così per un paio di giorni. Il gusto ricco del formaggio armonizza bene con la dolcezza del miele in un delizioso contrasto di sapori.
Esistono anche delle varianti nella preparazione della seada, a seconda delle diverse località. In alcune zone il formaggio non si cuoce, in altre si usa formaggio di latte vaccino e non caprino, alcune zone preferiscono l’aggiunta di scorza di limone o arancia, mentre in altre si sostituisce lo strutto con l’olio d’oliva, oppure lo zucchero al posto del miele. C’è anche chi per l’impasto usa le uova che non erano previste nella ricetta tradizionale.
Ma col formaggio caprino o vaccino, crudo o cotto, con la scorza di limone o di arancio, strutto o olio, la seada sarda è un fiore all'occhiello della gastronomia sarda apprezzata anche oltre il confine dell’isola.
“... il bello del momento dei dolci: tutta la loro raffinatezza si coglie solo quando non li mangiamo per placare la fame ... ma ci ricopre il palato di tutta la benevolenza del mondo.” (Muriel Barbery)
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di Daniela Toti
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