L’Ossidiana: L’Oro Nero Della Preistoria 0 Comments
Sa pedra crobina, alla lettera “la roccia nera come il corvo” è come chiamano in sardo l’ossidiana, un vetro vulcanico scuro e lucente. La sua omogeneità, la durezza ne hanno fatto una delle materie prime già conosciute nel neolitico. L’uomo realizzava strumenti taglienti come lame o punte di freccia, perforatori, raschiatoi e, più raramente, oggetti di ornamento.
L’ossidiana in Sardegna si trova nel territorio del Monte Arci, a 230 km e quasi tre ore di macchina dal Gabbiano Azzurro Hotel & Suites, un vulcano ormai spento da cui l’ossidiana si generò milioni di anni fa a seguito di effusioni di lava acida. Gli archeologi hanno ritrovato manufatti di ossidiana in oltre mille insediamenti datati tra il VI e il III millennio a.C.
Ha una storia di milioni di anni, i musei archeologici della Sardegna ne sono pieni e, recentemente, è balzata agli onori della cronaca come protagonista della popolarissima serie TV “Game of Thrones”, dove era reputato l’unico materiale in grado di uccidere i temibili zombie del ghiaccio chiamati “estranei”. Nella realtà dei vivi, sembra che l’ossidiana abbia notevoli proprietà benefiche per il corpo e lo spirito sebbene non scientificamente convalidata.
L'ossidiana del Monte Arci, la pietra nera che un tempo era considerata “l'oro nero degli antichi sardi” oppure “la pietra nera figlia dei vulcani”, è stata una merce preziosa e ricercata il cui primo impiego conosciuto risale al Neolitico, dall’8000 al 2500 a.C. Anche se spesso viene considerata una pietra, l’ossidiana è invece un vetro naturale vulcanico, formatosi in seguito al rapidissimo raffreddamento della lava.
Furono proprio gli antichi popoli nuragici a scoprire la via “dell’oro nero” nel Neolitico che, preferendo alla selce questo vetro vulcanico per armi, punte di freccia, strumenti da taglio, ma anche per raschiatoi per la lavorazione delle pelli. La lavoravano in “centri” vicino agli affioramenti di ossidiana in cui i resti archeologici testimoniano che riducevano i grandi blocchi di pietra (nuclei) in pezzi più piccoli. Gli scarti della lavorazione, cioè schegge di ossidiana e i nuclei, lasciati sul posto perché non più utili, hanno permesso agli archeologi di identificare questi centri.
I Nuragici la commerciavano con gli altri popoli del Mediterraneo, perché nel Mediterraneo i giacimenti di ossidiana, oltre alla Sardegna, si trovavano solo nelle isole di Lipari, Palmarola e Pantelleria. Dai ritrovamenti in molti siti preistorici, l’ossidiana sarda fu esportata in Corsica, in Italia centrale e settentrionale, in Provenza, ma soprattutto nella Francia meridionale.
Da dove viene il suo nome? Il termine è attribuito a Plinio il Vecchio (onnipresente nei documenti riguardanti la Sardegna), scrittore, naturalista, filosofo naturalista, comandante militare e governatore provinciale romano. La chiamò ossidiana, lapis obsianus o obsidianus in onore di un certo Obsius o Obsidius, che pare avesse per primo parlato della pietra. È facilmente riconoscibile dalle rocce comuni perché è molto simile al vetro, dal colore scuro, in genere nero brillante o grigio, ma talvolta anche con tonalità di verde, blu e rosso.
Molto meno rispetto al passato remoto, l’ossidiana oggi viene ancora lavorata, per realizzare lame per bisturi che alcuni chirurghi preferiscono alle lame in acciaio inossidabile. Si ottiene anche la lana di roccia, un materiale filiforme e vetroso ottenuto fondendo l’ossidiana a 1300 gradi centigradi, usato in edilizia come isolante termico, acustico, ignifugo e anche come materiale drenante. E infine viene utilizzata per realizzare monili come per esempio il "Su Coccu", ricercato gioiello e amuleto portafortuna della tradizione sarda.
“L'ossidiana è una pietra di chiarezza, con la capacità di rilasciare blocchi emotivi, fisici e spirituali, eliminando stress e tensione e incoraggiando la crescita personale.” (cit.)
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di Daniela Toti
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