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Sisaia, Sei Volte Nonna

Abbiamo già parlato del Supramonte, che è il cuore della Sardegna, duro come il granito e vellutato come l’aria che si respira, profumato di terra, di fiori, di erba e di pietra. Una straordinaria natura composta da enormi ammassi calcarei che si sono aperti formando quasi una difesa alla stupenda valle di Lanaitho. 

In questa valle, in una grotta del Supramonte, nei primi anni 60 fu ritrovata dal Gruppo Grotte Nuorese… ma facciamocelo raccontare da Nicola Castangia, un'artista dell'immagine, sardo, che fotografa con rispettoso amore la sua terra, e fotografò per primo Sisaia: Riposava in una grotta del Supramonte, nella valle di Lanaitho, quando venne riportata alla luce nella primavera del 1961. Dentro alla grotticella, vicino ai resti di un focolare, giaceva lo scheletro di una donna. La chiamarono affettuosamente “Sisaia”. Le era stata riservata una sepoltura singola, forse era una principessa.” 

Attorno allo scheletro trovarono anche un antico corredo funerario composto da alcune ciotole, punteruoli d'osso ed altri oggetti tipici a conferma che si trattava di una grotta utilizzata in tempi molto remoti come sepoltura come ipotizzato dagli speleologi.

Era stata una grande scoperta ed è bellissimo immaginare che quella notte, con un forte profumo di verbena, mirto ed elicriso, anche la valle partecipava alla soddisfazione degli speleologi, illuminata dalla luce traslucida della luna piena, sfoggiando la sua misteriosa e splendida bellezza. 

Esaminando i resti umani fu stabilito che fosse una donna. Allora Bruno Piredda, allora presidente del Gruppo Grotte Nuorese, decise di darle un nome e il primo vezzeggiativo che gli venne in mente fu "Iaia", nonna, ma poi, vista la vetustà di quella nonna, decise per il nome "Sisaia" (Sexies Avia), di tradizione latina, sei volte nonna.

Ciò che rese interessantissima Sisaia dal punto di vista archeologico fu un foro sul cranio realizzato con fine tecnica chirurgica, una perforazione fatta usando un trapano cilindrico, con estrazione e successiva riposizione del disco osseo, con sopravvivenza della persona operata e conseguente perfetta saldatura. È questo che rende Sisaia di grande fascino soprattutto per la scienza, perché questo difficile intervento fu eseguito nel 1.600 a.C., a testimonianza che in Sardegna vi era un popolo che eccelleva anche per le sue abilità chirurgiche.

Marina Moncelsi, Insegnante e scrittrice, propone un'affascinante immaginaria ricostruzione della vita di Sisaia, che renderò in breve. 

Sisaia, figlia del re, era la Sacerdotessa della Luna, con il compito di interpretare i segni della Terra e dell’Acqua. Aveva un dono molto gravoso da portare, specie da quando era caduta in un crepaccio mentre raccoglieva erbe per farne unguenti. Inanime, fu portata dal migliore sciamano che le diede l'oblio, la legò con strisce di cuoio, perché finito l'oblio il dolore sarebbe stato immane. 

Il saggio, consapevole del valore della vita della principessa consacrata alla Grande Madre, praticò con la selce affilata, sul suo capo precedentemente rasato, un taglio che gli consentisse di scollare la pelle dal cranio. Dopo aver tracciato l'osso, usò una selce con il tagliente arrotondato come una sega. Scoperchiò il frammento osseo utilizzando una piccola leva: un fiotto d’umore bluastro e semi coagulato schizzò fuori accompagnato dall’urlo della ragazza. Lo sciamano, mormorando nenie rituali, ripulì perfettamente lo spazio dove prima era il liquido, mentre un assistente ripuliva la rondella ossea prelevata. Lo sciamano ripose il frammento osseo nella sua sede naturale, accostò i lembi del cuoio capelluto e li ricucì.

La Principessa era guarita ma profondamente innovata, perché la forza di uno spirito potentissimo si era insediato nella sua mente durante l’operazione. Quella potenza innaturale, la capacità di prevedere gli eventi della natura e degli uomini indussero i saggi a conferirle il comando e gli antichi amuleti degli sciamani guaritori… e a destinarle una sepoltura singola.

Oggi “Sisaia” si trova al Museo Archeologico Nazionale di Nuoro, con l’intero contenuto della sepoltura originale. È stata progettata una teca più grande, in vetro perché possa essere ammirata da tutte le angolazioni.

 

“Dimenticare i propri antenati significa essere un ruscello senza sorgente, un albero senza radici.” (Cit.)

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di Daniela Toti

Photo di Nicola Castangia

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