La Cucina Sarda Nel Medioevo 0 Comments

La Cucina Sarda Nel Medioevo

Durante il millennio del Medioevo dalla Sardegna passarono davvero tutti: dalle dominazioni barbariche alle incursioni saracene, dal periodo bizantino all’autonomia dei Giudicati, dalle influenze delle Repubbliche Marinare di Genova e Pisa alla colonizzazione Catalano/Spagnola.

Un millennio di grande trasformazione, dalla cultura classica antica romana a quella barbarica, durante il quale ha viaggiato in parallelo la trasformazione del mondo alimentare sardo: da quella romana basata su grano-vino-olio e formaggi e carne, a quella delle popolazioni barbariche che introducevano cacciagione, pescato, allevamento dei maiali e la raccolta dei frutti selvatici. L’incontro delle differenti civiltà ha portato al nuovo sistema agro-silvo-pastorale.

In Sardegna nel focolare, centro della vita culinaria del medioevo, in recipienti in terracotta e pentoloni in rame appesi e sospesi, o mediante spiedi, si bolliva, si arrostiva, o si cuoceva sotto la cenere, carne e pesce, ma anche zuppe e farinate. Carne e pesce, venivano conservati sotto sale, preservando il loro sapore originale per tempi più lunghi. La cucina medievale sarda conosceva l’uso delle spezie, sapientemente applicato ai forti sapori della selvaggina. Nei forni medievali cuoceva il pane, sempre presente negli alimenti sardi sin dal nuragico, come lo era il formaggio, di pecora soprattutto, stagionato e fresco. Formaggi buonissimi che si mangiano ancora oggi.

L’agricoltura sarda era regolamentata dal Codice Rurale Bizantino, ripreso poi alla fine del 1300 nella Carta de Logu di Eleonora D'Arborea e nei vari Condaghi, i registri delle comunità religiose.

Le differenze sociali si riflettono anche nelle pietanze. I poveri si nutrivano principalmente di minestre di cereali e legumi, accompagnate da una fetta di pane. I più ricchi, poiché all’epoca la caccia e la pesca era solo per le classi aristocratiche e vietata al popolo, si concedevano vari tipi di selvaggina come cinghiali, daini, cervi e mufloni, lepri, anatre, oche selvatiche e galline prataiole. La carne di piccioni, colombi, tortore, pernici, quaglie e tordi, riservata ai palati più raffinati, veniva prima lessata e poi avvolta con le foglie di mirto per ottenerne il profumo e il sapore particolare, chiamata “murtidus”. 

Questo tipo di cucina aristocratica portata in Sardegna dai vari dominatori era la stessa utilizzata in tutte le corti d’Europa quasi una “globalizzazione” mediterranea. Nel Medioevo sardo cambiò anche il modo di consumare i pasti: mentre i Romani mangiavano sdraiati, ora si mangiava seduti su sgabelli o panche.

Con il dominio dei Doria, (1100- 1400 d.C.), si diffuse la coltivazione dei ceci, abbrustoliti, macinati e preparati in farinata. Successivamente con la dominazione spagnola arrivarono nuove pietanze e metodi di cottura, con nuove varietà di olive, di carciofi e nuovi vitigni.

La viticoltura è sempre stata presente nell’isola, già i nuragici dell’Età del Ferro, tra il 900 e il 750 a. C., bevevano vino rosso, una specie di Cannonau di quasi tremila anni fa, diventando i primi produttori di vino rosso nel Mediterraneo. Nel Medioevo si sviluppò la produzione di vini sempre più raffinati.  Le fonti indicano tre tipi di vino: latino, greco e il vino sardo (forse il cannonau). I vini erano anche prodotti da uve passite. Dal mosto si ricavava la “saba”, il dolcificante più antico del mondo, già presente nella cucina romana, utilizzata ancora oggi per dolci tipici sardi, come “sas tericas/ tilicas”. 

La cucina sarda nella sua storia è un legame saporito tra il passato e il presente che continua a deliziare i palati di oggi con la sua meravigliosa eredità culinaria.

 

“Cucina non è solo ciò che mangiamo. È l’elaborazione di materie prime secondo tecniche sviluppate nei secoli. È l’ambizione del buono e del bello convergenti in un piatto”. (Heinz Beck)

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di Daniela Toti

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